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Pochi giorni fa ho visto al cinema un altro gran bel film (non è molto facile di questi tempi...), terribilmente attuale, il Giardino dei limoni.
E' la storia di Salma, una vedova palestinese, che vive nella sua casa di famiglia da sempre, un'esitenza legata al giardino di limoni che per anni ha coltivato assieme al padre. Il suo piccolo terreno è proprio al confine tra Cisgiordania e Israele. Tutto ha inizio quando si ritrova ad avere come vicino di casa il ministro della difesa israeliano, che ravvisa in quegli alberi una minaccia alla sua sicurezza: per questo devono essere abbattuti. Ma il ministro non ha messo in preventivo la tenacia e la determinazione di Salma, che, a costo di mettere a rischio la propria vita, si batte allo stremo delle proprie forze affinchè la limonaia possa restare lì com'è, com'è stata sempre.
Ovviamente non mi dilungo sulla trama e non mi soffermo in particolare sulle due scene finali che esprimono la sintesi del messaggio che il regista, l'israeiliano Eran Riklis, vuole in qualche modo rappresentare. In primo luogo l'assoluta incomunicabilità tra due realtà, l'incapacità di incontrarsi, la paura di perdere ciascuno una parte della propria identità. Ma anche e soprattutto il segnale forte di un barlume di vita che resiste alla violenza degli uomini, che lasciano aperta la porta ad una doverosa speranza che, nonostante le ideologie imperanti, può partire solo dal cuore dei singoli, capace di riconoscere la bellezza e il valore della persona.
Splendida nella sua naturale bellezza "intensa e composta" figura di Salma, capace di trasmettere in ogni momento del film sentimenti di grande umanità e dignità.
Da non perdere....
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Mi è capitato di recente di vedere questo film, che reputo senz'altro tra i migliori, se non il migliore in assoluto, tra quelli visti quest'anno.
Si tratta di un film che fa riflettere sulle problematiche relative all'immigrazione negli Sati Uniti dopo l'11 settembre, mediante la storia di amicizia tra un professore di economia del Connecticut e due ragazzi di origine africana, sempre autentica e sincera, sempre lontana da ogni forma di luogo comune.
Il film sa colpire nell'intimo e non scade nel retorico, evidenzia il senso di paura, il sospetto e la diffidenza nei confronti degli immigrati e il cammino ancora lungo che separa dal compimento di un' autentica integrazione. Il regista, Thomas McCarthy, alla sua seconda opera sceglie uno stile estremamente sobrio, ma sempre efficace, ed affida ad un'atmosfera spesso malinconica ed ai ritmi delle percussioni a ricerca di quel senso di umanità quale assoluto valore da recuperare.
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